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Il mio patentino

Il nostro sito nasce ora, dopo una lunga gestazione, in un momento storico eccezionale. Siamo ancora nel pieno di una pandemia difficile da gestire che tra le tante conseguenze ha avuto quella di bloccare il nostro lavoro.

In questo periodo c’è un oggetto appoggiato su una mensola della libreria che “riposa”. E’ il mio patentino di abilitazione alla professione di guida turistica.

La libreria è in disordine, è quella operativa, vicino alla scrivania dove non ho mai abbastanza posto. Libri e quaderni vengono continuamente presi, riletti, spostati. Sulla scrivania ci sono colori, penne, colla, fogli colorati e appunti piccolissimi (ho sempre usato una calligrafia minuta).

Il patentino non è mai stato là, inserito dentro un porta patentino nero, agganciato al laccetto bestveniceguides, di solito, per anni, se non lo avevo addosso, stava nella borsa, sempre pronto all’uso. La foto è diventata quasi illeggibile, sono io di una quindicina d’anni fa, con la chioma decisamente folta e un sorriso soddisfatto. 

La parola soddisfazione condensa al meglio le emozioni racchiuse in quella tessera.

La soddisfazione di aver superato a pieni voti un esame difficile e di aver ottenuto un’indispensabile premessa per poter fare il lavoro che sogni. In quella tessera ci sono pomeriggi passati in biblioteca a studiare da sola o con Eleonora la storia della pittura veneziana, le istituzioni, le battaglie; mattinate tra chiese e musei sempre con un blocco di appunti dai fogli bianchi, senza righe ne quadretti, per scrivere liberamente e disegnare; notti a girovagare sognando e fantasticando, tenendo la mano rasente ai muri a sentire il salso ed accarezzare la città.

Vivevo a Venezia da pochi mesi quando mi sono iscritta all’esame, l’ultimo che la Provincia di Venezia ha fatto, rilasciando una patentino che certifichi le competenze specifiche per la città, la sua laguna e le Ville Venete. 

La mia casa era in  Salizada delle Gate, si affacciava sulla vita (ve lo racconterò in un altro post) e le mie giornate cominciavano presto, svegliata dal fruttivendolo che apriva la saracinesca sotto le finestre della mia camera e finivano tardi, spesso dopo aver fatto ultima tappa al bacaro di sotto.

Dopo aver superato le prove scritte (ben tre!), il giorno dell’orale, l’ultima prova e la più tosta, avevo accumulato fogli e fogli di appunti scritti fitti e piccolissimi, storie di “vera vita veneziana” e anche un bel  po’ di adrenalina. Ricordo bene la commissione seduta di fronte a me, i professori schierati ed io lì in mezzo alla stanza. Ma dietro di me, a mia insaputa, si era seduto ad ascoltare il ragazzo che avevo da poco cominciato a frequentare e che poi è diventato il mio compagno e il padre delle mie figlie e oltre il muro delle teste dei membri della commissione ondeggiavano, visibili a me soltanto, volti di dogi e artisti.

Ricordo bene le domande, una in particolare: descrivi un itinerario su Palladio a Venezia. Il grande architetto che amo è diventato una costante nella mia vita. Vengo dalla Riviera del Brenta dove l’ultima tra le ville in direzione Venezia e per me la più bella è uno dei suoi capolavori, la Malcontenta e da quasi tre anni vivo di fronte ad una delle sue creazioni più riuscite, il Redentore. Il nostro è un dialogo costante.

Così in quel patentino c’è il prima e il dopo. E a me piace pensare che in questo nuovo progetto continui ad alimentarsi il dialogo tra passato e futuro, formazione ed esperienze, fogli bianchi e chiacchierate estemporanee che alimentano sogni e progetti.

Paola Salvato

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